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METTI UN GIOVEDÌ SERA UNA VERTICALE DI FIANO DI AVELLINO

Pietracupa Fiano di Avellino Verticale

Qualche giorno fa, mentre bighellonavo allegramente su Facebook, un evento ha attirato la mia attenzione: una verticale di Fiano di Avellino.

Sono diverse le ragioni per le quali, proprio questo evento, tra le decine di eventi che ogni settimana si offrono all’appassionato di vini a Milano, ha catturato il mio interesse.

Prima di tutto, fino a quel momento avevo solo letto qualche articolo a proposito di questo tipo di degustazione (la verticale), e da subito mi era sembrata una cosa particolarmente figa; ragion per cui, morivo dalla voglia di fare questa esperienza!

In secondo luogo, pur essendo campana, e più esattamente casertana, non avevo mai assaggiato il Fiano di Avellino. Ne avevo sentito parlare, ovvio, ma per me era un illustre sconosciuto. Certo, è ironico come una campana debba bere per la prima volta un vino campano a Milano… ma tant’è.

Insomma, entusiasta e super curiosa, propongo la cosa al mio compagno di enoiche avventure e, detto fatto, si prenota!

Ora, dovete sapere che io qualche volta prendo le cose un pochino troppo seriamente, lo ammetto. E dunque, la sera prima della degustazione, sono caduta in preda ad una sorta di “ansia da prestazione”.

Mi domandavo se avrei saputo cogliere le differenze tra un’annata e l’altra, e, soprattutto, se il mio naso, ben poco addestrato, sarebbe riuscito a individuare gli aromi di questi vini. E poi, esattamente, cosa avrei dovuto sentire?

Insomma, per esorcizzare un po’ le mie ansie, ho cercato più informazioni possibili sul web e (non ridete per favore!) ho preparato una scheda per ognuna delle sette annate proposte, sulla falsa riga dei dettami AIS, per poter prendere nota delle caratteristiche di ogni vino.

VerticalTastingNotes Fiano di Avellino

Però, una cosa ve la devo dire, più cerco di entrare in questo mondo, più mi convinco che in realtà di risposte giuste e risposte sbagliate, quando si degusta un vino, non ce ne sono.

Capisco la necessità di definire delle linee guida, ma poi il colore di un vino, o il suo bouquet, o il suo sapore, sono cose fortemente soggettive!

Certo, se nel calice c’è un vino bianco, difficilmente qualcuno potrà dire che tende al violetto… ma, quello che per me potrebbe essere un giallo paglierino con riflessi verdi, ad un altro osservatore potrebbe sembrare un giallo paglierino puro e semplice. Quello che per qualcuno è una nota di miele e di affumicato, a me potrebbe sembrare pancetta dolce affumicata… sì, capita anche questo…

Vabbè, insomma, avete capito fino a che punto mi stavo arrovellando il cervello con questa storia della verticale…

Detto questo, il giorno della degustazione è arrivato.

Inizio previsto ore 20.00 all’enoteca Vinodromo[1]. Arriviamo e ci accomodiamo, in attesa che anche gli altri partecipanti, una dozzina in tutto, arrivino.

Finalmente, guidati da Cristian, che è anche il proprietario, ci spostiamo nella sala adibita alle “master-class”, dove ogni cosa è già pronta per la verticale Fiano di Avellino.Fiano di Avellino VerticalTasting

E subito partiamo con un breve excursus sulla DOCG Fiano di Avellino, per poi entrare nel vivo, parlando del produttore protagonista della serata: Sabino Loffredo.

Ed ecco che, mentre Cristian parla, mi viene in mente un personaggio citato nel libro “L’elogio dell’invecchiamento” di Andrea Scanzi.

In questo particolare aneddoto, Scanzi racconta del suo incontro con Flavio Roddolo, un vero personaggio di nicchia nel mondo del vino.

Noto a molti appassionati, Roddolo è uno di quei vignaioli che evita la ribalta, e che i premi non li ritira, ma al più se li fa spedire a casa, se proprio vogliono, che poi lui nei premi non è che ci creda molto. Un uomo all’apparenza burbero, schivo, che non si perde certo in smancerie, e che ama la comunicazione essenziale: se ha qualcosa da dire, bene… altrimenti tace.

Ed ecco, allora, che Cristian-Scanzi inizia a parlarci, in maniera simpatica, ma anche molto ammirata, di Sabino Loffredo, alias Flavio Roddolo, e della sua Azienda Viticola Pietracupa, a Montefredane, le cui vigne sono al confine con altre due zone rinomate: Pratola Serra e Manocalzati.

Lo so che l’accostamento può sembrarvi ardito, ma mi è venuto così, spontaneamente, mentre Cristian ci raccontava di questo personaggio molto più che schivo, che lui ha dovuto praticamente perseguitare, per riuscire ad ottenere qualche bottiglia del suo splendido vino.

Uno, per l’appunto, che produce vini superbi, ma che non ama avere gente in mezzo ai piedi; uno che, quando va agli eventi genere Vinitaly, porta il vino ancora senza etichetta e che, forse, se ti va bene, ti vende un paio di bottiglie al mercato dei vini del FIVI (vignaioli indipendenti), che si tiene a Piacenza, e non una di più, eh!

Insomma, un vero vignaiolo indipendente, di quelli che fanno il vino come piace a loro, e perché piace a loro e al diavolo tutti gli altri. Che volete, a me sta già simpatico!

Scopriamo, ancora, che non è uno di quelli fissati con il vino biologico, anche se poi, di fatto in vigna si lavora come se fosse agricoltura biologica, mentre in cantina è tutta un’altra storia.

Sabino Loffredo, è un fan della vendemmia anticipata, per forzare l’acidità di un vino che altrimenti sarebbe soprattutto, spiccatamente, un vino minerale. Ed è la mineralità, in effetti, il filo conduttore delle sette annate di Fiano di Avellino in degustazione.

Una mineralità che porta il segno indelebile delle caratteristiche geologiche del territorio di Montefredane. Una collina argillo-cretosa, caratterizzata da cineriti ocracee, residuo delle eruzioni del Vesuvio, ma anche da tufi, pomici, argille marno-sabbiose, e gesso.

E sono proprio queste le caratteristiche che danno tanta longevità ad un vino bianco, per nulla facile da capire. Questo non è un vino da bere giovane: quell’acidità e quella mineralità, così spiccate, hanno bisogno di tempo, ma poi una volta trovato il loro equilibrio…

Come è il Fiano di Avellino di Pietracupa?

Beh, è un vino particolare, senza dubbio, espressione della terra da cui nasce, ma anche, e soprattutto, di colui che lo produce. È un vino schivo e diffidente, ci mette un po’ prima di concedersi, ma poi, quando ci entri in confidenza, riesci a vederlo in tutta la sua meravigliosa schiettezza. Non è un vino ruffiano, lui non cerca per nulla di piacerti, semmai sei tu che devi piacere a lui!

Ed ecco che, finalmente, Cristian prende le prime 4 bottiglie: annate 2016, 2015, 2013 e 2012. Inizia a versare nei calici e apre il dibattito. Sì, perché si tratta di un dibattito vero e proprio, uno scambio di opinioni, come è giusto che sia.

Il primo ad essere esaminato è il 2016, che in realtà serve, spiega Cristian, più che altro da cartina tornasole.

Nel calice mi ritrovo un vino cristallino, di un bel giallo paglierino scarico, poco consistente. Al naso, il bouquet, che è abbastanza intenso, tradisce un vino decisamente giovane. Io, personalmente, ci ritrovo delle note citriche, ma anche di timo, di pesca, di fiori bianchi. Soprattutto c’è tanta, tanta mineralità, con un sentore di pietra bagnata, pietra focaia e gesso.

Insomma, un bouquet complesso, e abbastanza fine, dove io vedo ancora tanto potenziale inespresso.

Ma la giovinezza di questo vino, viene tradita anche dalla spiccata predominanza delle durezze, in primis da un’acidità prepotente, voluta dal produttore che, come detto, ama anticipare la vendemmia. Un vino chiaramente non ancora pronto, ma che lascia intravedere un grande futuro.

Ora che abbiamo la nostra scala di riferimento, possiamo passare alle altre annate. Vi risparmio tutti i dettagli, che potrete trovare in allegato alle mie “personalissime” schede di degustazione.

Comunque, quel che più mi ha colpita in questo primo set di vini, è stato il crescendo di complessità passando da un’annata all’altra, ma anche le nette differenze dovute alle diverse condizioni metereologiche delle varie annate.

Così, mentre ad esempio il 2015 era persino troppo sapido, quasi salino sulla lingua, così il 2012 è sembrato quasi “anonimo”: un’annata particolarmente calda, ci ha spiegato Cristian, è stato ciò che ha reso il vino meno interessante al confronto con gli altri.

Arrivata a questo punto, mi sento di fare una precisazione: i vini che abbiamo degustato erano tutti vini top e, presi singolarmente, nessuno di essi vi avrebbe fatto sfigurare durante una cena! Ma il bello di una verticale è anche questo: prendere dei vini che sono di per sé il top e, in qualche modo, capire se sono poi davvero tutti uguali tra di loro, o se un’annata ci piace di più, o semplicemente apprezzare la capacità evolutiva di un vino.

Fiano di Avellino TastingNoteQuello che oggi sembra, rispetto agli altri, poco entusiasmante, magari fra qualche anno sarà paragonabile a quello che oggi ci è sembrato il migliore…

A questo punto Cristian schiera il secondo set di vini: 2011, 2010 e 2008.

Qui il gioco si fa veramente duro!

Se chiedete a Diego, il suo preferito è, probabilmente, il 2011. Vino notevole, cristallino, di un giallo dorato più carico dei primi vini che abbiamo assaggiato. Qui inoltre, il vino inizia ad essere consistente. Al naso è un succedersi di aromi: minerale (salmastro, idrocarburo, pietra focaia), tostato (affumicato), ampio (miele, caseario). Io, da buona campana, ci sento quasi l’odore di scamorza affumicata…

Insomma, complesso e intenso, ma fine; nulla di questo bouquet sembra stonare.

In bocca, capisci subito che in questo caso il vino un po’ di strada l’ha fatta… l’acidità si è abbassata, e ci ha guadagnato la morbidezza, ma non ha perso nulla della sua sapidità. È un vino di corpo, equilibrato, intenso e persistente, soprattutto la nota affumicata, morbido e setoso al palato. Insomma, un vino maturo, armonico, che magari più di così non evolverà, ma che quanto meno potrà deliziare i nostri palati ancora per qualche annetto.

A detta di Cristian, invece, è il 2010 probabilmente l’annata preferita di Sabino Loffredo, e non gli si può certo dare torto! Anche qui, il vino parla da solo nel calice, il giallo oro diventa sempre più carico, il bouquet intenso e complesso, mantiene quella nota di affumicato, di minerale (salmastro, pietra focaia), di floreale (fiori bianchi), di fruttato (frutta gialla sempre più matura). Come nel 2011, ormai gli equilibri si spostano, la durezza tende la mano alla morbidezza; è un vino caldo, piacevole, morbido e setoso. Un vino armonico, che resterà così per qualche annetto, e forse ci riserverà ancora qualche piccola sorpresa.

E alla fine c’è il mio preferito… d’altronde non essendo un sommelier, posso permettermi pure di esprimere il mio parere personale!

Eccolo, il 2008, giallo oro, così carico da essere quasi ambrato, cristallino e consistente nel bicchiere, con il suo bouquet intenso, minerale, (quello c’è sempre), di pietra focaia, ma che lascia più spazio al tostato, e più precisamente ad una nota di affumicatura che va a fondersi con la nota casearia e di pasta lievitata. Sarà che ad una certa ora avevo pure un languorino, ma io ci sentivo la mozzarella di bufala affumicata e l’odore della pasta lievitata con il lievito madre! C’era anche tanta frutta matura, albicocca essiccata, una leggerissima nota di ossidato, che a me piace molto. Insomma, io questo vino lo adoro!

Ebbene, con il 2008 la verticale è, ahimè, finita!

VerticalTasting Pietracupa Fiano di Avellino

Devo dire che è stato un bel viaggio! Una passeggiata in una parte della mia regione natale che conosco poco; una passeggiata per le vigne, ma anche un fantastico viaggio indietro nel tempo.

Cristian ci ha portato, con la sua DeLorean, indietro sulla linea temporale di questo fantastico Fiano di Avellino: 2016, 2015, 2013, 2012, 2011, 2010, 2008, e lo ha fatto egregiamente, devo dire.

Ha saputo farci cogliere le sfumature tra un’annata e l’altra, che fossero dovute all’evoluzione naturale del vino o semplicemente alle variabili climatiche, ma ha saputo anche farci notare quel filo conduttore, quella mineralità così legata al territorio, che rende ciascuna di queste bottiglie uno dei migliori esempi di Fiano di Avellino attualmente prodotti.

P.S. qualche giorno dopo la verticale sono tornata da Cristian e mi son portata via una 2016, da aspettare per qualche annetto, una 2011 e una 2008… se vi fosse venuta sete sapete dove andare, vero? 😉

[1] Vinodromo, Via Salasco, 21 – 20136 Milano, https://www.facebook.com/Vinodromo

Posted on: Agosto 22, 2018, by :