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Salvatore Magnoni e l’antenna della Telecom.

Funk & Aglianico.

Ci sono posti dove il tempo mentale assume un significato diverso rispetto a quello cronologico.

Paese di Rutino, montagne del Cilento, metà di agosto. Bellezza di un paesaggio selvatico. Per le strade si vedono solo facce bruciate dal sole. E poi si sente il silenzio. Tanto silenzio.

I tornanti ci portano su, al centro del paese, dove troviamo un antico palazzo. È la casa di Salvatore Magnoni. Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ma lui prima di tornare qui, e rimettersi a coltivare la terra, come faceva suo nonno quando ancora non era emigrato in America, si dedicava ad altro.

Stava a Napoli a fare il dj. “Metteva su” i dischi. Diffondeva note di funk, di rock e di jazz, che si mischiavano con le voci delle storie della gente nei budelli brulicanti della sua città.

Non c’ero quando Salvatore Magnoni animava le notti partenopee ed era un punto di riferimento generazionale, essendo anche tra i fondatori del mitico negozio di dischi Fonoteca, al Vomero. Ho mancato l’appuntamento di una decina d’anni – nel senso che, a spanne, quella è la nostra differenza d’età – ma penso, guardandolo mentre parla e ci racconta di come è finito a Rutino a fare il vino, che mi sarei divertito pure io in quella Napoli lì, con lui che “metteva su” i dischi.

Ah sì, perché ora Salvatore si dedica a tutt’altro: cioè alla terra che tanto amava, istintivamente, ma di cui non capiva nulla.

La morte del padre, avvenuta alcuni anni fa, l’ha messo di fronte ad una scelta: vendere tutto, l’appezzamento ereditato, l’antico palazzo famigliare, oppure venire qui a Rutino, nel silenzioso e mistico entroterra cilentano e lasciarsi alle spalle una Napoli piena di musica e di vita, quella che viveva da dj e da prezioso sommelier musicale, consigliando dischi e cd a svariate generazioni.

Che ci vuole, in fondo, a fare il vino?

Niente. Basta imparare a potare, ad innestare, a dare il rame, a destreggiarsi con la botanica, la chimica, la fisica, l’economia e, all’occorrenza, saper anche tenere botta quando ti si presenta davanti un cinghiale incazzato che vuole mangiarsi tutta la tua uva.

E poi, alzarsi all’alba e andare a dormire presto, quando il sole è tramontato da poco.

Insomma, vivere secondo i ritmi della natura, trascorrere i lunghi pomeriggi silenziosi al lavoro in vigna, quando prima la tua missione era quella di pulsare il ritmo dritto al cuore della notte metropolitana a suon di beat di rock e di funk.

“Ma torneresti indietro? Rimpiangi la tua vita a Napoli?”, gli chiediamo.

“No, non riuscirei più ad abituarmici”, ci risponde Salvatore. “Non fraintendetemi, io amo moltissimo la città. Ma quando il ritmo della campagna ti entra dentro, ti cambia. O, per lo meno, cambia il tuo modo di vivere, se non il tuo modo di essere”.

Ecco, mi viene da pensare, che sicuramente Salvatore Magnoni è uno che ha avuto tanto tempo per meditare, qui su tra le montagne del Cilento. Poi, certo, si è dovuto anche rimboccare le maniche e “mettere insieme più saperi”, come dice lui: “Quello del professore universitario, quello del contadino e quello dell’enologo, solo per citarne alcuni. Io ho appreso un pezzo da tutti, poco per volta”.

“Ho dovuto pure fare un corso di potatura, perché all’inizio non ci capivo niente. E, onestamente, non ho ancora capito come le povere viti abbiano resistito alle mie sevizie…”, ci dice mostrandoci la sua splendida vigna arrampicata sulla costa di una collina appena fuori dal paese.

Segni del destino.

Dopo essere passati a trovarlo, parlando con Sara, convenivamo che, dalla competenza e dalla passione con cui ora Salvatore parla di botti e di lieviti, di viti allevate ad alberello o a cordone speronato, di rapporto tra vignaiolo e natura, la scelta che ha fatto – cioè quella di rimanere a Rutino – è stata, a nostro modesto avviso, quella giusta.

Assaggiando il suo “Cilento Aglianico Dop Primalaterra 2015”, un vino dai sentori di frutta rossa matura, di spezie, di noce e con un bel tannino rotondo, ci sembra che il suo prodotto sia assolutamente figlio del suo modo di intendere il mestiere del vignaiolo.

“Ho anche avuto molto culo nella vita”, ci rivela un Salvatore ormai a briglie sciolte. “Quando ho deciso di fare il vino, la nota azienda telefonica nazionale, mi ha aiutato moltissimo. Avevano un palo della loro antenna dentro la mia vigna, e così mi dovevano pagare l’affitto. All’inizio della mia attività, è stata un’entrata fondamentale. Hanno deciso di levare l’antenna quando ormai l’azienda aveva già alcuni anni ed aveva cominciato a stare e in piedi da sola…”.

Chiosa.

Dunque, lasciando Rutino all’imbrunire, passando con la macchina tra le coste delle colline cilentane, discutevano proprio di questo con Sara, e la storia dell’antenna ci sembrava l’unico punto del racconto di Salvatore – che per il resto abbiamo riportato così com’era-, a necessitare di una nostra piccola chiosa, che è la seguente: forse avere culo nella vita aiuta. Così come aiuta avere la Telecom che ti paga parte dei debiti quando parti con un’attività.

Però, tutto queste cose aiutano, solo se hai già le idee molto chiare. Non solo in fatto di vino.

Posted on: Settembre 10, 2019, by :