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IL VERDICCHIO E I SUOI CRU – SECONDO TEMPO

9 persone, un tavolo rettangolare, che si crede una tavola rotonda, 5 bottiglie di annata: 2010, 2007,2006, 2005, 2001, e un narratore di eccellenza.

Sto parlando della seconda serata dedicata al Verdicchio e ai suoi cru, organizzata e condotta da Cristian, nel suo Vinodromo, martedì 16 ottobre.

Una interessante serata, che ha permesso ai partecipanti di approfondire la conoscenza di questo vino e delle sue tipicità. Ma anche e, soprattutto, di scoprire la sua insospettata longevità e mineralità, stampando espressioni di sorpresa e spesso ingannando anche degustatori con qualche anno di pratica alle spalle.

Una bella carrellata di vini. Non solo 5 annate diverse a confronto, ma anche 5 diversi produttori, 4 piccoli vignerons e un grande produttore da 3.000.000 di bottiglie l’anno.

Un po’ di storia

Il verdicchio ha una storia piuttosto complicata. Negli anni che vanno dal 1990 al 2000, è stato oggetto di vinificazioni un po’ “estreme”: surmaturazioni e legno, che però in annate calde, o con vigne non abbastanza in altitudine, sono più che altro controproducenti.

Le uve del verdicchio, al pari di uve come quelle del fiano o del timorasso, non necessitano di estrarre tanto; altrimenti possono diventare stancanti e poco piacevoli alla beva. Certo, però, ha fatto colpo all’epoca l’idea di un bianco italiano che facesse legno; proprio perché era il primo, e poteva in un certo senso permetterselo vista la sua notevole acidità.

Ma, con legni troppo nuovi o un uso eccessivo della barrique, il vino diventava spesso stancante.

Caratteristiche

In giovane età, il verdicchio si presenta con tonalità giallo paglierino con evidenti riflessi verdi, ma come nel caso del greco di tufo, essendo ricco di acidi idrossicinnamici, il suo colore vira in breve tempo verso il giallo dorato, anche piuttosto carico. Questo può rappresentare un problema se il fruitore non conosce questa particolare caratteristica del verdicchio e, aspettandosi un vino più verdino, lo giudica fallato.

Inoltre, si tratta di uve molto ricche di sostanze per cui, spesso, li si definisce dei rossi travestiti da bianchi.

I vini in degustazione

Il verdicchio e i cuoi cru secondo tempo

Cuprese 2010 di Colonnara

La degustazione si è aperta con il Cuprese 2010, vino che nasce come assemblaggio, essendo costituito dalla selezione delle migliori uve di tutti i conferitori.

La zona di riferimento è Cupramontana, nello jesino, alla destra orografica dell’Esino, dove troviamo le vigne posizionate a maggiori altitudine, intorno ai 600 mslm, e che godono dunque di temperature più basse. In questa zona troviamo anche Apiro, Cingoli e Staffolo.

Una zona, insomma, che, con il succedersi di annate sempre più calde, sarà negli anni a venire quella più vocata per la produzioni di Verdicchio di qualità.

Questo perché il Verdicchio è un’uva con grosse capacità di concentrazione di zuccheri e, dunque, capace di tirare fuori molto alcool, con il rischio di divenire troppo pesante alla bevuta.

L’annata 2010 è stata un’ottima annata, anche se forse i produttori non hanno creduto fino in fondo alla longevità del verdicchio. Almeno così pare, se consideriamo i tappi molto corti che non sono stati di aiuto all’evoluzione del vino. E, difatti, questo vino, che era un ottimo esemplare di verdicchio fino a qualche anno fa, oggi mostra una forte evoluzione.

Il vino, che fa solo acciaio e cemento, e una sosta sulle fecce fini, presenta un colore giallo oro molto intenso, un naso con forti note ossidative e di lievito e, pur essendo un buon vino tuttora, appare più vecchio dei suoi anni e meno riconoscibile come verdicchio, anche a causa delle forti note di mela.

Santa Maria d’Arco 2007 di Ceci Enrico

Ci spostiamo a San Paolo di Jesi, subito prima di Staffolo, con un single vineyard, Santa Maria d’Arco, posto a 400 mslm.

L’annata 2007 è stata molto calda fino ad agosto, quando alcuni rovesci hanno abbassato le temperature; si tratta dunque di una annata precoce.

Come il Cuprese, anche questo vino fa solo acciaio e cemento, ma si differenzia dal primo per la sua morbidezza e pienezza, dovute proprio all’annata più calda.

Si tratta di un vino con tipiche note minerali e di idrocarburo, di tostatura e di mandorla, il che lo rende particolarmente riconoscibile in quanto verdicchio.

San Sisto 2006 di Fazi Battaglia

Qui siamo nella vigna più alta di Fazi Battaglia, 380 mslm, 30 ha di vigneti solo per questo cru.

Fazi Battaglia, storico produttore del vino nell’anfora, attualmente appartenente ai domini Bertani. Ha un vigneto pari a circa 300 ha, di cui 130 ha solo per il Verdicchio dei Castelli di Jesi, e produce qualcosa come 3.000.000 di bottiglie all’anno.

L’annata 2006 è stata una annata inizialmente precoce, ma poi verso la fine molto fresca. Il risultato è un vino piuttosto snello che fa fermentazione e affinamento in legno, quest’ultimo per ben 12 mesi.

Nonostante l’uso del legno, e i suoi 12 anni, oggi il vino si presenta fresco e giovane al naso, privo di note legnose soverchianti, un vino ben eseguito, ma tutto sommato senz’anima, un po’ vuoto, con un bell’ingresso, di facile beva, ma una scarsa persistenza.

Un vino che purtroppo non riesce ad emozionare colui che lo degusta.

Vigna delle Oche 2005 di Fattoria San Lorenzo

Con il Vigna delle Oche, questa la vecchia denominazione che oggi si è trasformata in Le Oche, ci spostiamo a Montecarotto, intorno ai 400 mslm, nella vigna storica della Fattoria San Lorenzo.

Per quel che riguarda l’annata, si tratta di una annata particolarmente fresca, il che aiuta molto dato lo stile aziendale che è basato sulla raccolta delle uve a piena maturazione e sui lunghissimi affinamenti sulle fecce nobili in cemento[1].

Un’altra particolarità di questo vino è la scelta di ricorrere a fermentazioni spontanee, ossia con i soli lieviti indigeni.

Salmariano 2001 Riserva di Marotti Campi

L’ultimo vino in degustazione, è forse uno dei verdicchio più noti e tipici degli ultimi anni. Nasce a Morro d’Alba, zona nota soprattutto per i rossi, ma è un’etichetta di riferimento tra gli appassionati del genere.

Fermentazione in acciaio, affinamento in acciaio, 80%, e in piccole botti di rovere, 20%. Al naso ha forti note minerali e di idrocarburi, leggerissime note ossidative e di tostato, in bocca è fresco, sapido, minerale, quasi salato. Un vino che non dimostra affatto i suoi 17 anni!

Conclusioni

Che dire, come sempre è stata una serata divertente ed istruttiva. Abbiamo degustato 5 vini per nulla scontati e tutti molto validi. Anche se, raccogliendo un po’ le impressioni generali, il secondo e il quarto sono stati i vincitori della serata per la chiara riconoscibilità come esemplari di verdicchio.

Ma è venuta fuori anche qualche considerazione interessante, soprattutto perché il mondo del verdicchio è parso un mondo ancora troppo disomogeneo.

Quella del Verdicchio è un’area estesa, dove le scelte tecniche, le esposizioni, le altitudini e le composizioni del suolo rendono piuttosto difficile orientarsi. Si può essere fortunati e trovare degli esemplari outstanding. Si può essere un po’ meno fortunati e incappare in vini ben fatti, ma poco interessanti e significativi. O ci può andare proprio male e bere vini pessimi e fatti molto male.

Insomma, un vitigno con grandi possibilità, ma ancora tanta, tanta strada da fare!

 

[1] I vasi di vinificazione in cemento sono stati abbandonati negli anni 70 con l’avvento dell’acciaio, ma nell’ultimo ventennio, anche grazie alle moderne tecnologie, sono ritornati in auge perché, se da una parte, essendo contenitori inerti come l’acciaio, non cedono particolari aromi al vino, da l’altra garantiscono una lenta micro-ossigenazione, quindi meno aggressiva che in legno, permettendo di amalgamare tutte le componenti del vino in maniera più armonica.

 

Posted on: Ottobre 18, 2018, by :